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mercoledì 14 marzo 2012

L'amore, quando si rivela

 C'è una poesia di Pessoa che descrive esattamente come ci si sente in certi momenti, non solo quando si ama nel senso canonico del termine (Lui-Lei, Romeo E Giulietta) ma anche quando si Ama, nel senso di profonda comprensione fraterna che può a volte  giungere inaspettata tra due persone (io e l'uomo con i jeans a vita bassa che vedo ballare sotto le casse; io e il disabile che canta sorridente sull'autobus in mezzo a tante persone grigie; io e un paio d'occhi verdi all'improvviso abbracciati alla mia essenza, che bevono a grandi sorsi da quella che è la sorgente di ogni cosa e di ogni caos che mi vortica dentro).
Sono cose che ti lasciano senza parole, ma non vuoto. Anzi, straripante.
 L'amore, quando si rivela,
Non si sa rivelare.
Sa bene guardare lei,
Ma non le sa parlare.

Chi vuol dire quel che sente
Non sa quel che deve dire.
Parla: sembra mentire...
Tace: sembra dimenticare...

Ah, ma se lei indovinasse,
Se potesse udire lo sguardo,
E se uno sguardo le bastasse
Per sapere che la sto amando!

Ma chi sente molto, tace;
Chi vuol dire quello che sente
Resta senz'anima né parola,
Resta solo, completamente!

Ma se questo potesse raccontarle
Quel che non oso raccontarle,
Non dovrò più parlarle,
Perché le sto parlando..


Fernando Pessoa

Today, Sun Is On My Side.

sabato 10 marzo 2012

Angelica

"Alza la musica, alza la musica!"

"Cosa?"

"Alza la musica!!"

"Ma sfonda già i timpani!"

"Alza la musica ho detto!"

"Perchè?"

"Perchè così posso continuare a fare quello che sto facendo."

"Saltare sul divano?"

Sguardo eloquente. D'accordo, alzerò la musica. Ma solo perchè me lo chiede lei, con quegli occhi azzurri come il ghiaccio e i capelli morbidi che profumano di buono.
Saltella sul divano con gli occhi socchiusi e le labbra rosse. Scuote la chioma castana, le perline delle sue treccine tintinnano, ma i campanellini spariscono nelle vibrazioni dei bassi di Bob Marley.
Salgo in piedi sul divano con lei. Mi prende le mani, sorride. Sempre a occhi socchiusi si lascia cullare dalla musica.
Quando fa così c'è qualcosa che non va. Saltellare sul divano con la musica sfondatimpani significa che c'è un male da esorcizzare, una voce cattiva da scacciare, un presagio da dimenticare.
La assecondo perchè in tutti questi anni non ho amato che lei, lei, i suoi occhi, le sue mani, le sue labbra rosate e i suoi denti bianchi come perle, e i suoi seni dolci e profumati. E soccombo a quel suo profumo. Dio, il suo profumo.
I suoi capelli mi sfiorano il viso, brividi lungo la schiena. Saltella sul divano ancora per un po', dimenando le braccia in alto e la testa in piccoli cerchi.
Io mi fermo a guardarla, non so cosa dire.
Si accorge del mio sguardo preoccupato e scoppia in una risata, per farmi credere che va tutto bene.
Ma è un riso incrinato, io lo sento.
Non riesco a staccarle gli occhi di dosso, aspetto il momento in cui mi dirà quale pensiero tenta di annientare nell'abbraccio del reggae. Vorrei abbracciarla io, e far sparire ogni dolore.
Me lo permette. La stringo forte, premo il mio petto contro il suo, le mie mani sulla sua schiena, le mie labbra vicine, così vicine al suo collo bianco.
La sua stretta risponde alla mia incendiandomi le vene e gli occhi, la musica ci prende le labbra e le avvicina in un bacio forte, sospirato e quasi doloroso, come una carica elettrica trattenuta e poi liberata.
Mi abbraccia ancora, sembra che non finisca mai. Poi il disco si inceppa, la musica viene strappata via dall'aria, e rimaniamo in piedi sul divano in un abbraccio stretto.
Si allontana da me, mi guarda negli occhi così duramente che temo voglia farmi male.
Scende dal divano, si siede. Mi tira la manica della camicia, facendomi cenno di sedermi accanto a lei. Guardiamo fuori dalla finestra, dove c'è il sole, i papaveri e la vita normale e sonnacchiosa della domenica. Silenzio, fischi nelle orecchie. Voglio abbracciarla ancora, voglio stringerla finché non passa il malessere che la avvinghia, e che avvinghia anche me. Invece non riesco a muovermi.
Sento che sta per parlare, sta per dirmi la verità.

"È stato bello, ma devo andare."

Non so cosa dirle. Mi manca l'aria.

"Lo sapevi che doveva succedere, non poteva durare per sempre."

"Sì."

"Sarai sempre con me."

"Lo so. Anche tu."

"Non essere triste. La vita sarà di nuovo bella, l'amore non ti farà più male."

"Un giorno. Sì."

"Ricordati che hai sempre tempo. Tu hai ancora tempo."

"Tempo per cosa?"

"Per essere felice, per scoprire, viaggiare. Vivere."

"Non so cosa fare del mio tempo, senza di te. "

"Lo capirai."

All'improvviso è buio. Sono in un campo, sento l'odore del grano tagliato di fresco, ci sono i papaveri ma sono chiusi e sfioriti. Fa freddo. Mi alzo, mi fa male tutto. Non capisco. Mi fa male la testa, pulsa forte. C'è qualcosa di caldo che mi cola lungo il viso e il collo. Ho la vista annebbiata. Vedo delle luci vicino a me, forse una strada.
Cammino dolorante fino al ciglio del campo.

C'è una strada asfaltata, una macchina accartocciata su un guard rail. Nessuno vicino, nessun rumore, niente. Aperta campagna, una falce di luna, i campi.
Lo sportello del guidatore è aperto. C'è la mia roba dentro. Le mie scarpe.
Non respiro, il cuore mi schizza nella trachea e mi impedisce di pensare.

Angelica. La fronte appoggiata al finestrino, il volto rigato di rosso vivo, gli occhi socchiusi, blu come il ghiaccio, le labbra rosse, i denti bianchi come perle. La sua mano chiusa intorno alla mia.